viernes, 27 de julio de 2012

Venditori abusivi ed evasione fiscale

Il fenomeno dei venditori abusivi, in genere extracomunitari, ha assunto proporzioni mai viste. Essi invadono piazze e strade e specie i luoghi più frequentati, assicurandosi vendite notevoli. Disporre di una bancarella in una isola pedonale o in corso, esentasse, esente da tutti gli altri tributi, senza fastidiose compilazioni di registri e rilascio di scontrini è certo un affare. Un affare è anche poter spostare bancarelle di notevoli dimensioni in piazze e strade attraversando pericolosamente la folla, o parcheggiare auto in divieto di sosta, non pagare le autostrade e via dicendo: sono parte dei privilegi di un... povero extra-comunitario che i "ricchi" italiani non hanno. Si sta così formando una classe di privilegiati che sta apprendendo che l'Italia è il paese di Bengodi, dove è permesso loro fare tutto quello che vogliono, anche intralciare il traffico e porre la mercanzia dove vogliono. La cosa più grave è che la merce non è fatturata per cui anche a monte del venditore di strada vi è tutta una filiera che non paga le tasse. Il fenomeno va considerato in rapporto al numero di questi venditori. Non si capisce perché agli italiani "normali" vengano contati tutti i peli mentre costoro e quelli che stanno alle loro spalle sono privi di qualsiasi controllo vero da parte degli organi preposti. Una proposta molto semplice potrebbe essere quella che i vigili urbani e la polizia tributaria nell'incontrarli procedano ponendo le multe ed esigendo in ogni caso il pagamento del plateatico e delle imposte (iva etc....) riscuotendo al momento o sequestrando la merce, in seguito imponendo l'abbandono della postazione. In una epoca di sacrifici così duri, specie al Sud non è possibile che un esercito di questi venditori possa sottrarre posti di lavoro e far chiudere negozi vessati dalla politica fiscale del governo.

Blasit Agol Zei


Punto di Stella
I Forum dei dialetti garganici
(Peschici, Rodi G., Vico del Gargano)
Peschici – 17 Luglio 2012



Scrivere e trascrivere i dialetti anche del Gargano
di Nando Romano

Autorità, Signore, signori, buonasera,
in apertura mi tocca ringraziare l’infaticabile Piero Giannini, cui devo la mia presenza qui questa sera: il tema dei lavori è di tutto interesse ma abbastanza complesso, in quanto aspetti sociologici del dialetto (si deve o non si deve parlare il dialetto?) rincorrono aspetti tecnici (come si scrive un dialetto?). Sembra quindi che emergano due grandi esigenze. La prima è connessa alla rivendicazione e conservazione o meno dell’identità etnica in tutti i suoi aspetti, ed “in primis” la lingua; un tema che entra a buon diritto nelle valutazioni socio-politiche che riguardano nel profondo l’individuo ed il gruppo e che ha riflessi nei più svariati aspetti della vita, ne affastellerò qualcuno nell’impossibilità non di elencarli ma solo di accennarli: dai rapporti quotidiani, alle “variandi” nell’italiano locale e nella scrittura che normalmente sono intesi come “errori di italiano”, alla toponomastica, ai nomi dei prodotti commerciali ed insegne dei negozi, e via dicendo.
La seconda è una domanda di chiarezza che investe il settore specifico degli studi, la dialettologia italiana: si chiede, in parole povere, di divulgare che cosa sia un dialetto, come si studia, quali le caratteristiche dei dialetti del posto, come trascriverli e come semplicemente scriverli nelle comunicazioni quotidiane anche per via elettronica (e-mail, sms).
Come si può notare sono stati innescate, in poche e semplici parole, problematiche di notevole portata per cui cento incontri non sarebbero sufficienti figuratevi questa chiacchierata.
Eppure sono grato agli organizzatori, perché, se non ci si incomincia ad impegnare, i problemi non si risolvono mai. Per questo motivo ho voluto preparare insieme a loro un CD gratuito in cui ho raccolto dei materiali sugli argomenti qui sopra esposti: ovviamente quelli che ho potuto reperire in rete e che, a parte tutto, entravano nell’angusto spazio di un CD, spero con la benevolenza degli autori i cui studi sono stati pubblicati e sperando che altri voglia sviluppare l’idea proseguendo nella raccolta. Oggi più che mai occorre mettere a disposizione le informazioni. Per questi motivi il mio titolo può apparire un po’ sibillino: si tratta di una delle rarissime iscrizioni daunie pubblicate dal mio maestro, Oronzo Parlangèli, in Testimonianze linguistiche della Daunia preromana, (in “Capitanata” 1967, pp. 39-50), ed a Lui consentitemi di dedicare queste modeste parole ricordandolo con affetto. Noi non siamo in grado di ricostruire la lingua dei Dauni per la scarsezza della documentazione: poche epigrafi viestine, fra cui questa, una lucerina e varie monete di Arpi e Salpi, ciò che la dice lunga sulla impellenza di scrivere e trascrivere il proprio dialetto e non solo per fini documentari. Blasit agol zei! Che dovrebbe essere una invocazione o un ringraziamento a Giove (*dii).
Ritornando all’assunto: va da sé che sul primo punto difficilmente posso mettere lingua, anche perché esso coinvolge considerazioni anche estetiche che spesso lasciano il tempo che trovano, in quanto è molto facile disprezzare un dialetto, da questo punto di vista, meno una lingua, solo perché la fragilità di chi esprime questi giudizi lo consente. Restano tuttavia considerazioni personali o del relativo gruppo. Posso solo aggiungere che un processo di emarginazione sta coinvolgendo varie regioni italiane non solo al Sud, in un contesto socio-economico, a mio avviso, di periferizzazione di aree che potrebbero avere, per i loro caratteri intrinseci, per la loro storia, per la bellezza del paesaggio, per la dolcezza del clima, la facilità e, consentitimi di aggiungere, la qualità della vita, ben diverso destino. E ciò a vantaggio di centri macro-economici dove si spostano le risorse del paese e dove l’individuo non ha più radici e soffre di tutti i disturbi conseguenti anche perché costretto a vivere in una reale periferia. Eppure molti, specie i giovani, pensano che sia preferibile vivere altrove che non qui. Non proseguo, lascio a voi ogni considerazione.
Posso permettermi di dire qualcosa sul secondo punto, ovviamente sarò poco meno che telegrafico. Definire un dialetto non è facile anche perché riesce più complesso parlare in astratto, mentre se si dice, “exempli gratia”: il dialetto di Peschici oggi è più facile farlo. Giacché un dialetto è una lingua normale, è la lingua in condizioni di non dipendenza o di isolamento anche relativo dell’intero gruppo o di una classe sociale, non necessariamente povera o emarginata. Si trasforma invece in un idioma subordinato ad un’altra o ad altre lingue quando i parlanti riconoscano la subordinazione della loro lingua verso un’altra, o altre, quella nazionale, o quant’altro, mutuandone fenomeni che finiranno per trasformalo e farlo apparire una forma volgare o ridotta o relativa della stessa. Ciò comporta vari problemi fra cui il più grave è la sordità fonologia, ossia i parlanti di un dialetto non ne riconoscono i suoni come succede nell’ambito dei dialetti meridionali, per la sonorizzazione delle sorde post-nasali, “exempli gratia”: i parlanti sono convinti di dire dente in realtà hanno detto: dende, e così dovrebbero scrivere in dialetto; una simile “variande” viene considerata un errore di italiano, ed insieme alle altre, nel parlato, concorre a formare… l’accento. Il tema sarà ripreso fra poco per quanto attiene i problemi della resa grafica del dialetto fenomeno in cui la sordità fonologica risulta essere del tutto funzionale nell’impedire una corretta scrittura.
Il dialetto di una piccola comunità di pastori sottoposti agli etruschi ebbe una fortuna sfacciata al punto da essere oggi la lingua più diffusa al mondo, come lo può essere il latino i cui tratti sono presenti ovunque, ed anche nell’inglese o nel cinese. Il dialetto di Firenze è alla base dell’italiano. Nessuno vieta che il dialetto di Peschici possa divenire una grande lingua, a condizione che i parlanti realizzino le condizioni che lo consentano.
Come si studia un dialetto? Molti sono i profani che si mettono al lavoro compilando grammatiche e lessici in cui in genere seguono i percorsi della grammatica della lingua nazionale, ossia di un’altra lingua che talora poco ha a che vedere con il dialetto, se non la comune origine latina e l’influsso della lingua nazionale sul dialetto e, poche volte, del dialetto sulla stessa. Le loro trascrizioni sono carentissime anche perché l’italiano è una lingua che dispone di solo cinque segni per le sue sette vocali; come è possibile, mi chiedo, trascrivere le tredici e più vocali del dialetto di Foggia con questo magro inventario? Ciò che meraviglia è che costoro spesso dispongono di conoscenze informatiche da fare invidia ma non sospettano che possa esistere una scienza dialettologica, per cui i materiali, carentissimi, sono spesso elegantemente presentati in internet.
La scienza che studia i dialetti è la dialettologia italiana. Un dialetto romanzo, come il dialetto di Peschici, è il latino parlato oggi a Peschici e si può studiare da un punto di vista diacronico, opponendolo ad uno stadio più antico del latino stesso. Inoltre può essere studiato dal punto di vista sincronico se si studia solo lo stadio odierno o di un altro dato periodo.
Quali sono le caratteristiche dei dialetti del posto? Se la grammatica di un dialetto non si modella su quella della lingua nazionale, occorre individuare percorsi specifici. I dialetti del Gargano, ed anche quelli dei nostri tre comuni, fanno parte dei dialetti meridionali, un gruppo che dalle Marche meridionali si estende fino al Circeo, ed a Sud include la Calabria settentrionale, mentre ad Est la Puglia settentrionale, con esclusione del Salento dove si parlano dialetti meridionali estremi. Nel delinearli mi limiterò alla fonetica giacché essa è funzionale ad un discorso sulla scrittura:
- Sistema vocalico basato sul romanzo comune di sette vocali: A breve e lunga, Ě, Ī, Ŏ, Ū mentre gli esiti delle vocali toniche da Ĭ-Ē ed Ŭ-Ō si fondono: come in italiano, le voci con queste vocali avranno identico esito: pépe/séra (lat.: PĬPER e SĒRA), óra/córto (lat.: HŌRA e CŬRTU).
- La metafonesi ha valenze morfologiche in quanto contribuisce a notare il plurale, il femminile o le persone dei verbi, attenuati dalla presenza dello “schwa”: abbiamo le coppie pòrkë/purkë per ‘porca/porco’ o anche këlòrë/këlurë per ‘colore/colori’, e kòrrë/kurrë per ‘io corro/tu corri’, esso è dovuto all’influsso delle vocali finali sulla tonica. Si realizza in forme diverse e dove più dove meno.
- Riduzione a “schwa” delle vocali atone.
- Sonorizzazione delle consonanti sorde post-nasali e dopo /l/.
- Assimilazione dei nessi ND in /nn/ ed MB in /mm/ per cui si ha munnë da Mundu ‘mondo’ e palummë da Palumbu ‘COLOMBO’.
- Shandi: ossia raddoppiamento fonosintattico, comune all’italiano, che prevede il raddoppiamento delle consonanti iniziali in presenza di espressioni come: vado a casa che in realtà è: vado a kkasa, in quanto la AD latina conserva la perduta /d/ nel raddoppiamento. Identico fenomeno si ha con i neutri in cui occorre distinguere rë ssalë da lu kanë, per ‘il sale’ ed ‘il cane’ (da Illud), e con i femminili: lë ffémmënë ‘le donne’.
Morfologicamente si ha il possessivo enclitico: pátëmë ‘mio padre’, ed il condizionale in –ía. Sintatticamente, l’accusativo con preposizione: agghjë vist’a Mmarjë per ‘ho visto Mario’.

Un dialetto può avere un repertorio fonetico diverso da quello della lingua nazionale, ma la stessa lingua nazionale ha un sistema in cui la sostanza fonica non corrisponde alla resa grafica. Nella tabella qui sopra ho raccolto alcune problematiche, ma non va sottovalutato che l’italiano dispone di soli cinque segni per rendere sette vocali, e che due di questi segni (i,u) rendono anche le semivocali /j/ /w/. A prescindere dalle problematiche orto-epiche degli italiani. Allora come trascrivere un dialetto? E perché si è fatta una differenza fra scrittura e trascrizione? Due sono i sistemi più diffusi per la trascrizione: quello dell’International phonetic Association (IPHA) e quello detto dei Romanisti. Il primo è il più diffuso perché legato alle fortune dell’inglese. E' fancilmente rintracciabile nel web.
Il secondo è più usato dai dialettologi italiani che tuttavia ora piegano verso il precedente, fu utilizzato dalla Carta dei dialetti italiani (O. Parlangèli, Questionario, Bari, 1967). 
Solo adesso possiamo calarci nella pratica. Quale può essere la differenza fra scrivere il dialetto e trascriverlo? Una persona di media cultura può imparare la trascrizione fonetica in poche ore, per cui, data la complessità dei dialetti pugliesi, e non tanto di quelli del Gargano settentrionale, sarebbe il caso di gridare: nell’era in cui un hobbista ne sa più di un tecnico, chi voglia trascrivere così complessi dialetti si serva di uno dei metodi qui sopra! Perbacco! A parte, farebbero prima, invece di reinventare tutto creando solo confusione. Ostano però due problematiche. La prima, il possibile rifiuto del parlante di un nuovo metodo di scrittura: ribadisco che chi sa scrivere lo sa fare nei modi prescritti per la lingua, che è per lui la lingua, sicché la grammatica di questa lingua è la grammatica; ripeto: la maggior parte delle grammatiche dialettali scritte dai profani seguono quella della lingua italiana con le sue belle... cinque vocali cinque! Anche l’alfabeto di questa lingua è l’alfabeto. Lasciate però che faccia una precisazione: l’alfabeto non è un semplice strumento, un repertorio di 21 lettere giusto per scrivere! L’alfabeto è un percorso simbolico che la nostra mentalità illuministica e positivistica volentieri ci nasconde; si collega ai primi ventuno numeri ed ai codici mantici connessi, come i tarocchi. Giocando con le lettere ed i numeri, non solo nel Medioevo e non solo nella nostra società, si cercava e si cerca di comprendere il volere di Dio. Una psicologia “ante litteram”. Può un parlante rinunziare a istanze così profonde?
La seconda problematica dipende in parte dalla precedente ed è la sordità fonologica. Una volta convinto il parlante ad usare un sistema di trascrizione fonetica, sarà capace di ascoltare ed ascoltarsi? Saprà trascrivere dende e non dente? Questo non si impara in poche ore in quanto la sordità fonologica è paragonabile spesso alla vera sordità.
Il dialetto dell’area non offre gravi problemi, a lato il sistema vocalico del dialetto di Vico del Gargano, da me elaborato sulla base del fondamentale contributo di Giacomo Melillo, I dialetti del Gargano, Pisa, Simoncini 1926. Le vocali del latino ci rendono poche vocali toniche e dittonghi (/a, è, è, au, ij, i, u, ò, ó), per cui non vi sarebbero problemi nel riprodurli anche con i pochi segni dell’italiano. Per dare una idea di questa semplicità lo confronto con lo schema realizzato dallo scrivente per Foggia (a lato), per illustrare la resa grafica di quel complesso dialetto, ideata da Anna Marino Romano († 2009) una delle più grandi trascrittrici dei dialetti italiani.
Il segreto di ogni buon sistema grafico: ad ogni fonema deve corrispondere un solo segno grafico! Ciò che consente e consentirà di leggere quanto espresso, peraltro il materiale prodotto potrebbe essere utilizzato in ambito scientifico, in mancanza di inchieste condotte da specialisti.
Questo principio non è sempre applicabile a dialetti più complessi, come quello di Foggia; qui il parlante potrebbe avere difficoltà sconosciute a quelli del Gargano settentrionale, simili a quelle dei bambini inglesi: mentre un bambino italiano impara a scrivere entro la II elementare, gli inglesi lo fanno entro la V. Anna Marino Romano, nel tradurre, dallo spagnolo in foggiano, la commedia di Jacopo Langsner, Esperando la carroza, molto dovette soffrire per ridurre i segni diacritici, tollerando anche qualche ambiguità. Come si può vedere nell’illustrazione qui sotto, Ella riunì le vocali turbate sotto l’accento circonflesso (/î, û, ê, ô/), le centrali (/ë, ä/) sotto la dieresi, tolse gli accenti alla /i/ ed /u/ chiuse, lasciandoli su quelle aperte; mancando l’opposizione è~è ed ò~ó, tolse gli accenti alle semiaperte /è – ò/. Per le consonanti segnalo solo le pre-palatali /ś/ e /ć/ (fricativa) e la resa delle occlusive post-palatali /kkj/ e /gghj/.
Segue un brano della commedia: Krìscé fìgghjë, krìscë… (purkë)(Atto I, scena II):
Elvìrë: Angôr'a kkuà stäjë! Agàavëz’u kûlë da quela seggë, so i gùnëcë, e da stamatînë ke stäjë assëttätë a lleggë, vìstëtë, múuvëtë, vatt’a ffa na doccë, ke fit’a kkänë múurtë!
Tanùccë: Moo, moo! kuanda kazzë dë frettë, î fazzë sùbbëtë a vvëstìrmë: na lavätë dë faccë e stäk’a ppostë; a doccë!? më l’agghjë fattë dîcë jurnë fa. Andò ê ke pùzzë!? (odorandosi sotto le ascelle) Quìstë e ddôrë… quèsto e pprofumo di maschio latino, anzi, di maschio foggiano! Quannë sèndënë sta ddôrë… i fèmmënë s’astubbëtìscënë, nën-gapìscëne kkjù nnindë.
Elvìrë: E vëdè si ttë liv’i skarpë!
A mo’ di conclusione: nella redazione di un sistema di scrittura di un dialetto, semplice o complesso che sia, vanno tenuti presenti vari fattori:
1.            a seguito di un accurato studio che individui il repertorio fonetico, cercare di far corrispondere ad ogni segno grafico un fonema, evitando segni astrusi che si allontanino dalle soluzioni in uso,
2.            la scrittura del quotidiano non ha le stesse esigenze della trascrizione per fini scientifici per cui occorre evitare di urtare la coscienza e le conoscenze pregresse dei parlanti adeguando il sistema,
3.            ultimo ma non ultimo: poiché si utilizzano i mezzi informatici, i segni vanno cercati fra quelli di facile reperimento negli stessi, a che serve un bel sistema di trascrizione se il parlante per accedervi deve usare programmi complessi? All’uopo si consiglia l’uso della tastiera spagnola che ha gli accenti e la dieresi liberi, compreso il circonflesso, a parta la ñ, utilizzabile per gn.
Infine, visto che si parla di informatica, uno dei sistemi per riuscire a far scrivere in dialetto potrebbe paradossalmente consistere nella compilazione di programmi di traduzione… quanto sarebbe bello se potessi inserire: “Vado a casa” e mi venisse fuori nel dialetto di Foggia: “Väk’a käsë”; so che è riduttivo, ma credo che un Foggiano medio, nonostante le grandi semplificazioni apportate da Anna Marino Romano, ben difficilmente riuscirà a scrivere un bel brano nel proprio dialetto!
                                      
      

lunes, 27 de febrero de 2012

Venditori abusivi: Foggia come Buenos Aires!


Dal 9 di Gennaio di quest’anno ingenti forze della PFA, la Polizia Federale Argentina, pattugliano la calle Florida a Buenos Aires, imponendo ai venditori ambulanti abusivi, detti “manteros”, per l’uso di stendere un panno per terra per esporre la mercanzia, di ritirarsi. Molti gli incidenti causati da coloro che non obbediscono all’ordine; per essi è previsto il sequestro della mercanzia, il fermo e, nei casi più gravi, l’arresto. Ciò a seguito delle proteste dei commercianti della strada turistica che rappresenta il nostro “corso” per i bonaerensi. I “manteros” tuttavia non demordono: centinaia di poliziotti sono bloccati nella calle Florida, da quella data, per evitare il ritorno dei venditori abusivi, sicché non è difficile incontrare titoli come questo nei giornali della capitale: En ciudad de Buenos Aires, los manteros se enfrentaron con la policía.

Tutti sanno, però, che il giorno che la PFA non potrà più distaccare le ingenti forze per l’operazione i venditori abusivi ritorneranno, e ciò perché la cosa andava esaminata qualche anno prima quando essi non erano così numerosi né così sicuri. Va anche considerato che migliaia di padri e madri di famiglia contavano ormai sui guadagni di questo lavoro esentasse che li rendeva dei privilegiati rispetto agli altri commercianti del luogo.

Foggia si trova nella stessa situazione di Buenos Aires, avendo, per trascuratezza o falso buonismo, dato dei privilegi a degli extra-comunitari che parcheggiano le loro lunghe bancarelle nel corso, impedendo ai cittadini il passeggio.

Come si può vedere dalle foto, mentre la “peatonal” Florida è una strada bi-uso, in quanto al passeggio si aggiunge la parte commerciale garantita dai grandi fornici delle porte dei negozi, il corso di Foggia non è una strada veramente commerciale, in quanto i negozi non sono tanti né così aperti sulla strada, essa è essenzialmente una strada per passeggiare.

La differenza non è da poco. Un corso adibito essenzialmente a passeggio consente allo società che lo usa lo scambio di importanti elementi connessi alla parentela ed all’amicizia e di informazioni essenziali. La lenta trasformazione, senza regole, in un corso-mercato, una specie di “suk” arabo, interferisce in questa attività sociale diminuendola e rendendola precaria. A parte tutto il corso è il bigliettino da visita di una città che necessita di turismo che in questo caso si va perdendo per il deteriorarsi del sito.

Vi è inoltre da osservare che i venditori abusivi extra-comunitari non sono affatto poveri: essi dispongono di auto e furgoni che spesso mancano di assicurazione e di bollo, che di norma sono parcheggiati sulle strisce blu senza pagare; dispongono di lunghe bancarelle che manovrano anche in mezzo alla folla del passeggio domenicale con grave pregiudizio per quelle attività sociali e per il turismo, appena invocati.

E’ stabilito che non è importante quello e a quanto si vende, più importante è il punto dove si vende: è chiaro che essi dispongono dei migliori punti con passaggio diella folla. Vi è anche da aggiungere che questi venditori non solo non pagano l’IVA e le altre imposte, ma non hanno ispezioni della finanza, e per le merci di dubbia provenienza della polizia; non hanno i dolori di testa che hanno i normali commercianti fra libri contabili, elenchi clienti etc… Chi non desidererebbe fare un simile lavoro… ma se lo fa un giovane italiano senza lavoro, probabilmente le cose si metterebbero diversamente. Stiamo quindi creando una classe di privilegiati, peraltro stranieri, senza regole col rischio che essi credano che a Foggia tutto sia lecito. In un momento di crisi come questo quanti posti di lavoro si tolgono ad una città emarginata? Quante imposte si evadono, per gente che usufruisce dei servizi pubblici come gli altri?

E’ pertanto necessario prendere subito misure idonee e definitive contro questi venditori abusivi altrimenti si finirà come a Buenos Aires… non credo però che Foggia disponga di cento agenti da distaccare. Concludo con uno dei mille brani che traggo da un giornale argentino, non è nemmeno necessario citarlo tanto è consueto:

"

Buenos Aires, 12 de Enero. Luego de una nueva jornada de tensión en el centro, un grupo de comerciantes ilegales se enfrentó con efectivos que se encontraban en la zona para evitar que se desplieguen las mantas sobre la vía pública. Hay un detenido y un policía herido. Ahora realizan un piquete.

La guardia de Infantería de la Metropolitana utilizó gas pimienta (= gas al peperoncino), lo que en algunos casos alteró aún más los ánimos de los protestantes, quienes se trenzaron por momentos en una batalla cuerpo a cuerpo.”

Auguri Foggia!

Rivolte degli abusivi: oggi a

Buenos Aires...

… domani a Foggia!



Santiago del Cile 27 Febbraio 2012.

Libera riproduzione a condizione di citare l’autore.

Per motivi tecnici le altre foto sono nei prossimi blog

domingo, 26 de febrero de 2012

Foggia. La Grammàtica del Dialetto.

E' in corso di redazione La Grammàtica del dialetto di Foggia a cura dello scrivente. Finalmente i Foggiani, e gli altri, potranno disporre di una grammatica scientifica del dialetto, una grammàtica con l'accento insomma che faccia giustizia di luoghi comuni ed errori.
La pubblicazione, molto impegnativa, con testi orali e filmati, vedrà la luce per fine 2012.
La ricerca si basa su di un lavoro condotto dal prof. Nando Romano con i suoi alunni del locale istituto per geometri al principio degli anni Ottanta. Furono condotte registrazioni magnetiche da cui si estrapolarono quaranta brani; gli informatori erano assortiti per certo, sesso ed età, sì da ottenre una istantanea fedele del dialetto dell'epoca. I materiali vengono ora rivisti ed adattati ai tempi; le pagine pulite con il Photoshop, le registrazioni con i moderni mezzi informatici. Note aggiuntive dello scrivente sui fenomeni linguistici completano il lavoro svolto a scuola.

"Banco Santander, salga a bordo cazzo!"


Soy un turista italiano, recorro el mundo durante seis meses del año, acá tienen como Santander me dió la bienvenida en Chile ayudando al turismo.
Disculpen mi castellano pero quiero abrir los ojos sobre todo a los chilenos.
La noche del 22 febrero llego al aeropuerto de Santiago de Chile y necesitando dinero para pagar el traslado a la ciudad me dirigo al cajero automatico del aeropuerto en el pasillo de la aduana. Pongo mi tarjeta "prepagata" en italiano, o sea que no está pegada a una cuenta o caja de ahorro, solo se llena con dinero y se va vaciando cada vez. El cajero no accepta la tarjeta y me la saca afuera con un mensaje sobre la pantalla: ESPERE UN MOMENTO, yo pienso que va a completar la operacion, pero el cajero se la traga.
Eran las dos de la madrugada, desde entonce empieza un calvario:
- el numero 800 escrito sobre el cajero me contesta que: "Mañana al banco se la van a rescatar."
- Voy al banco y me dicen que no es asunto de ellos porque el banco se sirve de una impresa, pero no saben decirme cual y andonde se encuentra.
- Voy a los carabineros que encuentro en una taquilla en la via publica y me mandan al SENARC el ente que protege a los consumidores.
- En eL SENARC me aconsejan la Superintendencias de los bancos.
- Acá me hacen un billete para hablar con el sr. Maurcio Córtes en la dirección del banco mismo. En cambio me hacen hablar con una señora de su oficina que me dice que el banco opera con otra empresa, ponen solo el nombre sobre el cajero (y evidentemente cobran una comisión). Yo le digo que por poner el nombre tienen que averiguar el mensaje y los programas del cajero, que son errados. Me dice que va ver que puede hacer. Falso.
- Vuelvo el día siguiente y, esta vez un señor, siempre del oficio, me dice la misma cosa. Yo le digo que la tarjeta se la tragaron con una informacion errada por eso tienen que devolvermela si o si, por que tenian que escribir: retire su tarjeta en vez de: espere un momento. Le pido el numero de fax que me pidió mi banco para conectarse y me lo niegan. Al hacerle ver al empleado mi correo el empleado era tan ignorante que me pidió el correo y lo puso en el directorio de internet contestandome: "¡No se abre!" le digo: "Claro que no se abre, antes tenemos que abrir la pagina de gmail, despues pone password y solo yo puedo hacerlo."
- A este punto, frente a esta estupidez pierdo mis esperanzas y decido irme.
¿Que banco es que no se hace responsable de las cosas a su nombre?
Yo le diría: "Santander, salga a bordo, cazzo!"
¡Aprenda a contestar por adonde pones tu nombre!

Grave ingiustizia verso i pensionati del Governo Monti

Il governo Monti ha congelato le pensioni al di sopra di una certa somma per salvaguardare il potere di acquisto delle pensioni minime e meno alte. Saggia decisione, si potrebbe dire, in realtà è quanto di più ingiusto vi possa essere verso chi come noi, cui compete una pensione di circa tremila euro, e che ha versato fino all'ultima lira e poi euro di contributi non avendo possibilità di evadere. In realtà le pensioni sotto questa somma si dividono in due parti:

A. quelle legate ad una effettiva contribuzione verso cui il provvedimento appare giusto

B. quelle legate alle dichiarazioni fiscali di professionisti, commercianti, artigiani, taxisti ed altre categorie.

Queste ultime, come risulta dai dati non hanno in genere dichiarato molto, talora quasi nulla, per cui dispongono di pensioni minime, talora di 500 euro. La maggior parte di costoro non dichiaravano molto o nulla per investire il mal tolto in altre forme (case, titoli etc...).

Si propone pertanto che la disposizione sia modificata nel modo seguente:

1. Che la soglia del congelamento della pensione sia elevata a 3000 euro netti al mese
riconoscendo, entro questo limite, la progressione della pensione a coloro che abbiano effettivamente versato quanto dovuto

2. Non si riconoscerà la progressione alle pensioni basate sulle dichiarazioni dei redditi, pur minime, i cui titolari dispongono di altri beni, oltre la prima casa.

Si vede bene che le somme così recuperate possono compensare quanto si toglie a coloro che invece hanno versato il dovuto.