domingo, 13 de julio de 2014

Grammatica: Il “futuro” di Foggia.


Il futuro sintetico italiano (es.: canterò) è raro sotto la linea Viterbo, Perugia Ancona, ossia in quasi tutto il Centro Sud oltre le isole, Corsica compresa. Qui si ha una perifrasi deobbligativa che in latino prevedeva le seguenti formule: dēbĕo + infinito come in: devo fare oppure anche: hăbĕo ad, o de, + infinito, diffusa anche in veneto e nel toscano popolare, come in: “io ho a morire per l’alegrezza” (Machiavelli, Mandragola, 4,2). A dispetto del toscano e, quindi, dell’italiano, questo è il tipo di futuro più diffuso in Italia, ma dall’Abruzzo alla Terra di Bari.
Questo tipo di futuro, quindi, si attua anche nel dialetto di Foggia, non senza una leggera modifica, che esaminerò in un brano connesso ad una curiosa tradizione testimoniata dalle mie inchieste per il Dizionario ragionato del dialetto di Foggia, il cui primo volume è dedicato ai terrazzani. L’ùteme pìzzë a dda èssë a rècchjë. ‘L’ultimo pezzo (il più grande che ti / gli rimarrà) sarà l’orecchio’, gridavano, specie le terrazzani, a mo’ di minaccia, in caso di lite, con la più truce variante: L’ùteme mùzzëkë a dda  èssë a rècchjë. 'L'ultimo morso etc...', per la pratica di mordere l’avversario, giungendo anche a strappare un orecchio o solo un pezzo. A parte: le terrazzane erano anche abilissime nell’uso del coltello!
A dda èssë (< habet de ab esse) ‘ha da essere’, insomma, per dire: ‘sarà’. Un sintagma che esprime dovere, obbligatorietà (futuro deontico) come nel proverbio esaminato, ma che può anche esprimere una opinione di chi parla (futuro epistèmico), es.: A dda èssë pàtëtë ‘sarà tuo padre’; quest’ultimo tipo di futuro può essere anche espresso sinteticamente, come in italiano: sa(r)rà ppàtëtë ‘sarà (venuto) tuo padre’, una espressione che caratterizzata dallo shandi (cioè la fonetica sintattica) per cui si raddoppia la consonante iniziale di: pàtëtë, e dall’enclisi del pronome possessivo che viene posposto al nome pàtë-të ‘padre-tuo’. Il parlante sente a dda (e seguenti) come una sola parola. Vediamone uno schema:

Futuro deontico ed epistemico nel dialetto di Foggia e nell’italiano
Dialetto
(catacresi)
latino
Italiano
(perifrastica)
latino
agghj’a èssë
< hăbĕo ad esse
sarò
< esse hăbĕo
è èssë
< hăbes ad esse
sarai 
< esse hăbes
a dda èssë
< hăbet de ab esse
sarà
< esse hăbet
amm’a èssë
< hăbēmus ad esse
saremo
< esse hăbēmus
avit’a èssë,
< hăbētis ad esse
sarete
< esse hăbētis
ann’a èssë
< hăbent ad esse
saranno
< esse hăbent

Ed ancora: il presente pro futuro si ha in: u fazzë dumänë ‘lo farò domani’, che esprime una decisione  con effetto immediato, o nelle attenuazioni, ma si usa in una con il sintetico, anche per esprimere forme dubitative e concessive, es.: è pûrë bbrävë, ma... / sarrà pürë bbrävë, ma... Forme pragmatiche si riscontrano nei seguenti esempi: ke tt’agghj’a dîcë anche esclamativo per: ‘ti dirò, non so che dirti!’, kapìsc(i)’a mmè! ‘capirai! cerca di capirmi!’.
Insomma: non si può dire che Foggia non abbia… un bel futuro!

sábado, 12 de julio de 2014

Chi ha fatto trenta può far trentuno!


I modi di dire costituiscono un caleidoscopio lessicale e grammaticale del quale in una breve ma completa nota ci dà conto Federico Falloppa nella Treccani, in rete; chi ne desideri solo un elenco può consultare il Dizionario dei modi di dire (Hoepli). A parte la difficoltà della classificazione, la ricerca del “perché si dice” e di “quando è iniziato l’uso” costituiscono scogli anche per gli addetti ai lavori. Tagliar la corda per ‘fuggire, andarsene alla chetichella’ non pone problemi semantici ma di datazione, cosa irrilevante in: ritirarsi in Aventino, che ricorda la secessione parlamentare del 27 VI 1924, a seguito del delitto Matteotti; fuggire per il rotto della cuffia pone entrambi i problemi. Il modo di dire in epigrafe, viene spiegato dal citato dizionario, spiegazione cui aderisce coralmente il web: “Il detto può avere origine dai giorni del mese, ma potrebbe anche alludere a un episodio avvenuto durante il pontificato di Leone X. Il Papa, che aveva deciso di limitare a trenta il numero dei nuovi cardinali, si accorse a posteriori di avere dimenticato un prelato che gli stava particolarmente a cuore. Così (…) ne nominò trentuno.”. Per giungere ad una ipotesi più plausibile mi sono sembrate necessarie altre suggestioni: i numeri anzitutto, dei quali, in prima battuta, cercherò i possibili significati nella memoria letteraria.
Il Tommaseo, nel suo Dizionario della lingua italiana (Torino, 1861-79) lo registra due volte, s.v.: trenta e: trentuno che reca accanto: (sottint. Punti): una semplice spiegazione; seguono altre espressioni: “Giuocar (…) al trent’un per forza o per amore.” o “È modo vivo tuttavia anche se il giuoco non usi più; e dicono Dare nel trentuno, a chi riesca male una cosa. - Anche a donna non più giovane ormai: Ha dato nel trentuno.”; ancora: “Far trentuno per forza: esser costretti a far cosa che non si vorrebbe fare.”. Infine, un significato desueto già all’epoca: “Trentuno, in modo volg., Il deretano.”. Strano che il grande lessicografo, che aggiunse centomila occorrenze con un dizionario cui dedicò vista e vita, nello spoglio di tante opere non abbia avuto fra le mani un poemetto del nobile veneziano Lorenzo Veniero, e le Sei giornate dell’Aretino, ciò che forse gli avrebbe permesso di trovare un “fil rouge” fra le espressioni notate.
La Zaffetta, 114 stanze di ottonari, fu pubblicata forse a Venezia e forse nel 1531, in appendice alla Puttana errante; l’autore voleva dimostrare che quest’ultima opera non fosse dell’Aretino, cui era attribuita. Si narrano le avventure di una giovine cortigiana, Angiola Zaffa: per aver tradito l’amante, fu portata a Chioggia, fingendo una festa, sì che non dette peso al fatto che la sua gondola era seguita da un’altra piena di uomini! Qui le fu comminata una punizione che si dava alle prostitute veneziane, per umiliarle e disonorarle. Il supplizio le viene così annunziato alla fine di un lauto pranzo: “Signora, i vengo à darvi aviso / Come sta notte un trentuno reale / Quel che v'adora vuol darvi improviso; (…).”. Oggi, costrizione a parte, fare sesso sfrenato con trentuno uomini di seguito si direbbe “gang-bang”.
Nel Dizionario storico del lessico erotico italiano di Boggione e Casalegno (Milano, Tea, 1996, p. 192) oltre a trentone condiviso dalla Zaffetta e dall’Aretino (Sei giorn. 264, 24) che, ovviamente, non manca di usare trentuno (73, 16 e 74, 27) si nota anche: arcitrentuno per ‘doppio trentuno opposto al trentuno ùgnolo, ovvero semplice’ (Sei giorn., 242, 30) e trentuniere per ‘chi prenda parte ad un trentuno’ (264, 18). Nei Proverbii di messer Antonio Cornazano in facetie (1518) al proverbio 10: Perché si dice: Tutto è fava, si legge: “Uno villano del contado d'Imola (...) tolse per moglie una garzona molto astuta,  trentonizata per tutto il paese.”.
Il simbolo numerico, Zahlensymbol, è l’oggetto della gematria, scienza medievale che attraverso i numeri e le lettere interpreta il volere di Dio, esso trova spazio in vari ambiti fra cui l’antropologia e l’analisi critica. Dante ne segue le regole (cfr. voce: numero in Enc. Dantesca di G. Roberto Sarolli) mentre Manzoni, come tutti noi, ne fa uso inconscio. Il trenta è emanazione del tre: l’intelligenza creativa, si pensi a fra’ Gandino ed al miracolo delle noci nel III cap. de I promessi sposi; costituisce un percorso duro per l’iniziato, specie se mal si porta: nel cap. XXX mentre l’Innominato, passato alla schiera angelica, salva i profughi, si dissolve il mondo di Don Abbondio, usuraio: il suo tesoretto passerà ai Lanzi. Il trentuno è un cammino di sopportazione e completamento, fortunato per i buoni ma non per i malvagi cui predice decadimento dell'organismo, schiavitù del corpo, catastrofi e malattie: nel Manzoni è la peste. Solo chi avrà ben passato il trenta potrà ottenere il successo. 
Un complesso semantico notevole per tentare di sciogliere l’enigma: il sacrificio costituito dal trentuno sembra un “trait d’union” fra tutto quanto detto finora; mal ne incolse alla Zaffetta, ladra e fedifraga:La Signora fottuta à capo basso / Piangeva ad alta voce si dolente, / C'havrebbe humiliato un Sathanasso.”, non le restava che andarsene… con una mano avanti ed una dietro! A chi, dopo tanti sforzi e patimenti sulla retta via possa ancora conseguire migliore risultato si potrebbe dire: Sei riuscito a far trenta? Puoi anche… sopportare un bel trentuno! E la datazione? Per ora lo farei risalire al sec. XV, e se il lettore mi chiede d’esser più preciso ho bell’e pronto un cartello con la scritta: “Per i miracoli ci stiamo attrezzando!”.