I modi di dire costituiscono un caleidoscopio lessicale e
grammaticale del quale in una breve ma completa nota ci dà conto Federico
Falloppa nella Treccani, in rete; chi
ne desideri solo un elenco può consultare il Dizionario dei modi di dire (Hoepli). A parte la difficoltà della
classificazione, la ricerca del “perché si dice” e di “quando è iniziato l’uso”
costituiscono scogli anche per gli addetti ai lavori. Tagliar la corda per ‘fuggire, andarsene alla chetichella’ non pone
problemi semantici ma di datazione, cosa irrilevante in: ritirarsi in Aventino, che ricorda la secessione parlamentare del 27 VI
1924, a seguito del delitto Matteotti; fuggire per il rotto della cuffia pone entrambi i problemi. Il modo
di dire in epigrafe, viene spiegato dal citato dizionario, spiegazione cui
aderisce coralmente il web: “Il detto può avere origine dai giorni del mese, ma
potrebbe anche alludere a un episodio avvenuto durante il pontificato di Leone
X. Il Papa, che aveva deciso di limitare a trenta il numero dei nuovi cardinali,
si accorse a posteriori di avere dimenticato un prelato che gli stava
particolarmente a cuore. Così (…) ne nominò trentuno.”. Per giungere ad una
ipotesi più plausibile mi sono sembrate necessarie altre suggestioni: i numeri
anzitutto, dei quali, in prima battuta, cercherò i possibili significati nella
memoria letteraria.
Il Tommaseo, nel suo Dizionario della lingua italiana
(Torino, 1861-79) lo registra due volte, s.v.: trenta e: trentuno che
reca accanto: (sottint. Punti): una
semplice spiegazione; seguono altre espressioni: “Giuocar (…) al trent’un per
forza o per amore.” o “È modo vivo
tuttavia anche se il giuoco non usi più; e dicono Dare nel trentuno, a chi riesca male una cosa. - Anche a donna non più giovane ormai: Ha dato nel trentuno.”; ancora:
“Far trentuno per forza: esser costretti
a far cosa che non si vorrebbe fare.”. Infine, un significato desueto già
all’epoca: “Trentuno, in modo volg., Il
deretano.”. Strano che il grande lessicografo, che aggiunse centomila
occorrenze con un dizionario cui dedicò vista e vita, nello spoglio di tante
opere non abbia avuto fra le mani un poemetto del nobile veneziano Lorenzo Veniero, e le Sei giornate dell’Aretino, ciò che forse gli avrebbe permesso di
trovare un “fil rouge” fra le espressioni notate.
La Zaffetta, 114 stanze di ottonari, fu pubblicata forse a
Venezia e forse nel 1531, in appendice alla Puttana
errante; l’autore voleva dimostrare che quest’ultima opera non fosse
dell’Aretino, cui era attribuita. Si narrano le avventure di una giovine cortigiana,
Angiola Zaffa: per aver tradito l’amante, fu portata a Chioggia, fingendo una
festa, sì che non dette peso al fatto che la sua gondola era seguita da
un’altra piena di uomini! Qui le fu comminata una punizione che si dava alle
prostitute veneziane, per umiliarle e disonorarle. Il supplizio le viene così
annunziato alla fine di un lauto pranzo: “Signora, i vengo à darvi aviso / Come sta notte un
trentuno reale / Quel che v'adora vuol darvi improviso; (…).”. Oggi, costrizione a parte,
fare sesso sfrenato con trentuno uomini di seguito si direbbe “gang-bang”.
Nel Dizionario
storico del lessico erotico italiano di Boggione e Casalegno (Milano, Tea,
1996, p. 192) oltre a trentone
condiviso dalla Zaffetta e
dall’Aretino (Sei giorn. 264, 24)
che, ovviamente, non manca di usare trentuno
(73, 16 e 74, 27) si nota anche: arcitrentuno
per ‘doppio trentuno opposto al trentuno
ùgnolo, ovvero semplice’ (Sei giorn., 242, 30) e trentuniere per ‘chi prenda parte ad un
trentuno’ (264, 18). Nei Proverbii di messer Antonio Cornazano in facetie (1518) al proverbio 10: Perché si dice: Tutto è fava, si legge: “Uno villano del contado
d'Imola (...) tolse per moglie una garzona molto astuta, trentonizata
per tutto il paese.”.
Il simbolo numerico, Zahlensymbol, è l’oggetto della gematria, scienza medievale che
attraverso i numeri e le lettere interpreta il volere di Dio, esso trova
spazio in vari ambiti fra cui l’antropologia e l’analisi critica. Dante ne segue
le regole (cfr. voce: numero in Enc. Dantesca di G. Roberto Sarolli)
mentre Manzoni, come tutti noi, ne fa uso inconscio. Il trenta è emanazione del tre: l’intelligenza creativa, si pensi a
fra’ Gandino ed al miracolo delle noci nel III cap. de I promessi sposi; costituisce un percorso duro per l’iniziato,
specie se mal si porta: nel cap. XXX mentre l’Innominato, passato alla schiera
angelica, salva i profughi, si dissolve il mondo di Don Abbondio, usuraio: il
suo tesoretto passerà ai Lanzi. Il trentuno
è un cammino di sopportazione e completamento, fortunato per i buoni ma non per
i malvagi cui predice decadimento dell'organismo, schiavitù del corpo, catastrofi e malattie:
nel Manzoni è la peste. Solo chi avrà ben passato il trenta potrà ottenere il
successo.
Un complesso semantico notevole per tentare di sciogliere l’enigma: il
sacrificio costituito dal trentuno
sembra un “trait d’union” fra tutto quanto detto finora; mal ne incolse alla
Zaffetta, ladra e fedifraga: “La Signora fottuta à capo basso / Piangeva ad alta voce si dolente, /
C'havrebbe humiliato un Sathanasso.”, non le restava che andarsene… con una mano avanti ed una dietro! A
chi, dopo tanti sforzi e patimenti sulla retta via possa ancora conseguire
migliore risultato si potrebbe dire: Sei
riuscito a far trenta? Puoi anche… sopportare un bel trentuno! E la
datazione? Per ora lo farei risalire al sec. XV, e se il lettore mi chiede
d’esser più preciso ho bell’e pronto un cartello con la scritta: “Per i miracoli ci stiamo attrezzando!”.
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