La patria italiana
In occasione del 150º anniversario dell'Unità d'Italia
di Nando Romano
Uscito in “l’Attacco” del 15 III 2011
Con il concetto di patria noi giovani intellettuali degli anni Sessanta non siamo stati teneri e specie nel Sessantotto cui ho partecipato e che non rinnego. Gli è che eravamo usciti da una guerra disastrosa, specie per Foggia, e ci aggiravamo fra macerie reali e spirituali lasciate da quella guerra e dalla politica che la aveva determinata con tutti i suoi orpelli fra cui uno strumentale concetto di patria.
Crescendo e contribuendo alla formazione della nuova società italiana, vivendo la politica, e, specie come docenti ed intellettuali, consegnandola alle nuove generazioni, questa patria ha cominciato a prendere corpo, insieme all’Europa. Operazione non semplice in una città coventrizzata dagli Alleati che, su di un totale di 61000 vittime civili in Italia ne ha avuto 20.000! Evidentemente non bastava riconoscerlo con una medaglia, sarebbero stati utili interventi pratici proprio da parte di quella patria a favore dei restanti abitanti e di quel che rimaneva di una città, distrutta da terremoti e guerre, che un infelice Moravia definiva, negli anni Cinquanta, la più brutta d’Italia. Fin troppo facile.
Poi vennero i leghisti che ora sono a Roma eppure continuano a dire: “Roma ladrona” e “Sud parassitario”. Probabilmente sono piú italiani di me visto che sono riusciti nell’intento di colonizzare per la seconda volta il Sud, nell’arco di questi 150 anni, e specie l’infelice Tavoliere, merce di scambio, svenduto più di una volta. Se si tien conto che il Nord produce 50 ed il Sud 25 il divario può apparire notevole, ma il Sud si svena nell’inviare risorse, umane e non, al Nord, ciò che non viene fatto pesare sulla bilancia (e colmerebbe di gran lunga il divario) ma sembra un ulteriore favore che ci viene fatto nell’accoglienza ruvida agli immigrati che siano muratori, studenti o presidenti di tribunale.
Alla patria italiana viene dato così un altro colpo, a Nord come nell’ingenuo e bonaccione Sud. Se volete cercare la patria italiana venite all’estero, fra gli italiani all’estero.
Entro in una frutterìa di Rosario (Santa Fe, Repubblica Argentina); in questa città ed in Buenos Aires ho cambiato il freddo inverno foggiano con l’estate argentina, ma sto anche terminando la traduzione spagnola del mio romanzo Himera.
Vedo un signore che ha fra le mani il “Corriere della Sera”. Gli domando: “Lei è italiano?” Mi risponde: “Sí, soy italiano.” “Allora parla italiano?” Mi guarda: “¡Sí que lo hablo! Tengo 81 años y estoy acá desde 65, nunca seré un argentino, no quiero ser un italo-argentino, ¡yo soy italiano, i-ta-lia-no!”. Ma sempre in ispagnolo.
La patria italiana.
Esco, sono nella grande Avenida Pellegrini, sbatto il muso contro una grande insegna: “Bar Fellini” con un enorme disegno stilizzato del Maestro. Sullo sfondo il “Parque independencia” con il monumento a Garibaldi, e a lato: l’Ital Park, ché così si chiama qui il Luna Park. Per strada mi inseguono e precedono nomi, cognomi, nomi di prodotti commerciali e insegne di tutti i tipi, centinaia, in italiano e persino i manifestini alternativi di un guppo musicale: “Amaro lucano”, e, giacché avevo anch’io il “Corriere” fra le mani, una donna dice al suo accompagnatore: “Guarda, anche lui legge il Corriere!”
Per la verità sono spinto da più prosaiche esigenze, devo portare un pantalone in lavanderia. La sera prima, a cena con i miei amici rosarini, in genere appartenenti al corpo diplomatico locale, avevo abbozzato una applaudita parodia della “Pansè” dedicata alle signore presenti; nell’oscillare dei bicchieri che seguivano il ritmo del canto il vino aveva preso il volo cadendo sul mio pantalone e sulla “mise” di una delle signore. Ecco una lavanderia… sull’insegna: “Pulitura a secco”, papale papale… e sopra, in lettere cubitali: “Lavanderia italiana”. Sarà la commessa a spiegarmi perché il costo del lavaggio del pantalone qui è più alto che nelle altre lavanderie: “Usiamo tecniche e prodotti di valore, come in Italia, noi facciamo le cose per bene.”. Non so se il mio pantalone sarà davvero lavato meglio, ma non posso che fare un’ulteriore riflessione sulla mia terra, lontana ed amata e non solo per l’occasione di questo contestato 17 Marzo.
La patria italiana.